mercoledì 25 luglio 2012

L'estate di Giacomo

Ci sono diversi modi di fare cinema ma tutti hanno in sè il bisogno di comunicare qualcosa, non necessariamente una storia. A volte l'obiettivo è quello di raccontare una vicenda attraverso le persone, in altri casi invece è quello di parlare di una persona. Ancora immersi nei suoni e nell'ambiente della campagna friulana ed in particolare del fiume Tagliamento dove buona parte di quello che abbiamo visto ha preso forma e poi si è sviluppato, non possiamo fare a meno di pensare che "L'estate di Giacomo" nasca dalla voglia di mettere al centro dello schermo un esistenza filmata dal vivo, senza trucchi, con la pazienza di non gli eventi, lasciando che le piccole cose, quelle che abbiamo smesso di guardare o di cui si è perso memoria, riprendano ad alimentare il fuoco delle nostre emozioni. Ed è proprio la componente emozionale derivata dai sentimenti di amicizia e poi d'amore che Giacomo instaura con due coetanee ad accompagnare e tenere insieme la libertà del flusso visivo di cui il film si compone. Schermaglie, ritrosie e piccoli dispetti si alternano a momenti di tregua, riempiti dall'evidenza di un paesaggio naturale che sembra sublimare con la sua quiete calda e riposante il montare di una scoperta, quella di Giacomo nei confronti del mondo ed in particolare dell'universo femminile, spaventosa edinsieme sublime.


Girato in pellicola ed in digitale con la leggerezza e la spontaneità compositiva già appartenuta ai giovani turchi della nouvelle vague francese, "L'estate di Giacomo" nonostante la sua natura indipendente, soprattutto dal punto di vista produttivo, è tutt'altro che un film improvvisato. Se infatti il pedinamento e l'osservazione quasi antropologica di protagonisti rubati alla vita reale - ad interpretare se stessi e la propria esistenza sono in questo caso amici e familiari del regista - potrebbe far pensare ad una stanca riproduzione di stampo neorealistica, con tutto le conseguenze in termini di mancata fantasia e varietà, in questo caso il pericolo viene meno per mano dell'autore che facendo entrare in gioco l'elemento naturale, non solo il paesaggio ma anche la luce ed i suoi rumori, con quello specificatamente tecnico, soprattutto nelle sequenze associate mediante un montaggio rispondente più ad un bisogno di coerenza emozionale che di linearità narrativa, riesce a ricreare un microcosmo poetico e fuori dal tempo, nel quale lo spettatore si sente parte in causa, disturbato quando Giacomo aderisce alla vita con rabbia, come succede all'inizio del film con la batteria malmenata fragorosamente dal ragazzo ripreso di spalle, rivitalizzato laddove la sua innocente ingenuità rompe le convenzioni di una gioventù che il cinema italiano ama più mettere in posa che capire. Certo molto di quello che rimane fuori dall'opera - il girato poi scartato in sede finale prevedeva una fase ospedaliera conseguente all'operazione a cui Giacomo si era sottoposto per riacquistare parte dell'udito alternata alla sezione estiva - così come alcuni passaggi del film poco spiegati lasciano un sensazione di incompletezza, di un risultato più simile ad una dichiarazione d'intenti che ad un'opera compiuta. Questo però non diminuisce la purezza dello sguardo e la perfetta commistione tra cinema e documentario che avvicinano "L'estate di Giacomo" ai capolavori di Frammartino e Marcello. In prospettiva quello di Alessandro Comodin è un esordio che lascia ben sperare.
(pubblicata su ondacinema.it)

lunedì 2 luglio 2012

Qualche nuvola

Un tempo li chiamavano poveri ma belli ed erano film che pur rispecchiando in maniera realistica la condizione di un paese, l'Italia, appena uscita dalla guerra, la ritraevano attraverso le prospettive di personaggi ingenui e perennemente innamorati. A quel modello di cinema, a suo tempo definito realismo rosa, ci pare possa aspirare "Qualche nuvola" la commedia dell'esordiente Saverio Di Biaggio, ultimo scampolo di una new wave italiana decisa a rinfrescare il panorama del nostro cinema d'autore. Per farlo Di Biaggio sceglie un titolo esemplare per molti motivi. Quello più eloquente deriva proprio dalla scelta del riferimento meteorologico che se da una parte invita a fare attenzione, a prendere eventuali precauzioni, dall'altra con la sua distratta indeterminatezza sembra quasi manifestare una voglia di non prendersi sul serio che poi è la stessa che il regista mette in mostra nel corso del film, quando in diversi momenti della storia gli aspetti drammatici vengono stemperati da un umorismo pieno di buon senso. Ma più di ogni altra cosa le nuvole sono i pensieri che passano per la testa a Diego quando alla vigilia delle nozze con Cinzia si infatua dell'affascinante inquilina della casa in cui sta eseguendo i lavori di ristrutturazione. Muratore con ambizioni imprenditoriali, il giovane rischierà di mandare a monte il sogno di una vita.
Incentrato su un triangolo amoroso costruito sulle differenze, caratteriali e sociali, dei tre protagonisti, con la bella Viola (Aylin Prandi già vista ne "Il paese delle spose infelici", 2011) a rappresentare per Diego il contraltare affascinante ed esotico ad un'esistenza trascorsa dentro gli orizzonti del quartiere- il film è ambientato al Quadraro, emblema di una Roma popolare e periferica- e ad un legame sentimentalmente ancorato alle sicurezze di un amore iniziato in tenera età, "Qualche nuvola" si divide equamente tra i preparativi del matrimonio, complicati dalle manie di Cinzia, continuamente insoddisfatta delle proposte per migliorare l'allestimento del nido familiare, e le scappatelle di Diego, stregato dall'affinità anche intellettuale con una donna così lontana da quelle che aveva fin lì conosciuto. A fare da contorno i rispettivi familiari, con la presenza sanguigna di Giorgio Colangeli nel ruolo del padre della sposa, ed un nugolo di amici tra cui si distingue Michele Riondino nei panni di un prete interessato tanto alla salute spirituale quanto a quella fisica di Diego, suo compagno di squadra nel torneo di calcetto, e Primo Reggiani, pusher dal cuore d'oro, eternamente sopra le righe ma pronto a sostenere la coppia nel momento del bisogno.

Autore di un'opera priva di quella prosopopea che pretenderebbe di cambiare le sorti del cinema italiano, ma comunque impegnata ad intrattenere lo spettatore con intelligenza e rara sincerità, Saverio di Biaggio si dimostra abile nell'orchestrazione delle voci, amalgamando in maniera equilibrata i diversi gironi del suo simpatico presepe. A prevalere però è la simpatica umanità dei due protagonisti interpretati con felice immedesimazione da Michele Alhaique e Greta Scarano. Presentato nella sezione controcampo italiano dell'ultimo festival veneziano "Qualche nuvola" si colloca in quella terra di nessuno lasciata libera da una commedia italiana sempre più rivolta alla soddisfazione di appetiti di tipo catodico.
(pubblicata su ondacinema.it)