Anime destinate ad incontrarsi sulla base di un reciproco dolore. Isole
di un universo sconosciuto eppure vicinissimo entrano in collisione in
maniera casuale ma inevitabile. L'impatto sarà rumoroso e cambierà lo
stato delle cose. Sicuramente darà vita a nuove possibilità. È con la
consapevolezza di un nuovo inizio che si conclude l'ultimo film di
Stefano Pasetto, regista da un po' di tempo sulla breccia ma per motivi
legati alle logiche della distribuzione italiana ancora al palo con il
suo secondo film, pronto già da un anno e solo ora in uscita nonostante
il plauso ottenuto oltre confine nei festival dov'è stato presentato. A
questa constatazione di rinnovamento che abbraccia il significato ultimo
della storia appena raccontata se ne aggiunge un altro che riguarda da
vicino i personaggi di Lucia e Lea, le due donne che in modo meno
eclatante ma sicuramente molto simile a quella di "Thelma e Louise"
(1999) danno vita ad una ribellione nei confronti della loro esistenza
incompleta, e delle persone che ne fanno parte, ad incominciare dagli
uomini, incapaci di capire le loro inquietudini e qui esclusi da una
complicità che dopo l'amplesso consumato più come reazione ad un
malessere reciproco che ad un attrazione sessuale, e successivamente nel
viaggio attraverso la Patagonia argentina, si trasforma forse in
qualcosa di più.
Ma dicevamo dei personaggi ancora una volta come già accadeva in "Tartarughe sul dorso"(2005) colti in un mutamento che gli farà cambiare pelle. E se nel film d'esordio le figure centrali interpretate da Fabio Rongione e Barbara Bobulova restavano in qualche modo in sospeso, bloccate nel loro percorso dalle conseguenze del gesto violento - lui finiva in prigione per aver voluto vendicare con il sangue le molestie di cui lei è stata vittima - che gli aveva permesso di prendere atto del nuovo corso, nel caso de "Il richiamo" questo tragitto si compie non solo attraverso variazioni che segnano in senso fisico il corpo, risanandolo, ma che arrivano fino in fondo attraverso uno strappo interiore e personale, quello che porterà Lucia e Lea a separarsi una volta per tutte dal fardello (per Lucia la mancata gravidanza per Lea l'assenza della figura paterna) che ne condiziona in negativo l'esistenza.
Ma dicevamo dei personaggi ancora una volta come già accadeva in "Tartarughe sul dorso"(2005) colti in un mutamento che gli farà cambiare pelle. E se nel film d'esordio le figure centrali interpretate da Fabio Rongione e Barbara Bobulova restavano in qualche modo in sospeso, bloccate nel loro percorso dalle conseguenze del gesto violento - lui finiva in prigione per aver voluto vendicare con il sangue le molestie di cui lei è stata vittima - che gli aveva permesso di prendere atto del nuovo corso, nel caso de "Il richiamo" questo tragitto si compie non solo attraverso variazioni che segnano in senso fisico il corpo, risanandolo, ma che arrivano fino in fondo attraverso uno strappo interiore e personale, quello che porterà Lucia e Lea a separarsi una volta per tutte dal fardello (per Lucia la mancata gravidanza per Lea l'assenza della figura paterna) che ne condiziona in negativo l'esistenza.
Ultimo arrivato in termini distributivi ma in
realtà apripista (il film è stato prodotto nel 2011) di un cinema
italiano che prova a liberarsi dal provincialismo a cominciare dai
luoghi in cui viene girato - era già successo con i film di Volo,
Sorrentino e Faenza ambientati in america ma anche nella rarefazione del
paesaggio urbano dell'Italia filmata da Marina Spada nella sua ultima
opera - "Il richiamo" ha il suo punto di forza nella capacità di far
crescere i personaggi senza la fretta che contraddistingue molto cinema
contemporaneo, nel modo con cui utilizza l'ambiente, mettendolo in
corrispondenza con gli stati d'animo dei protagonisti, Buenos Aires
pulsante ed affollata quando nella prima parte deve fare da specchio al
crescendo interiore che mette in discussione certezze che non sono più
tali, la Patagonia spoglia e scarsamente frequentata a rappresentare una
presa di coscienza netta ed inappuntabile in quella finale.
Ma queste qualità, a cui si aggiunge la scelta di filmare con una semplicità che certamente si addice alla volontà di riprodurre una quotidianità essenziale e priva di orpelli, sono costrette a fare i conti con una certa prevedibilità nella rappresentazione dell'universo femminile, per molti versi uguale nella suo percorso di guarigione esistenziale a quello di certe produzioni nostrane - "Le acrobate" di Silvio Soldini (1997) potrebbe essere un modello - e che trova nella performance distante ed implosa di Sandra Ceccarelli un prototipo riuscito ma fortemente praticato, ed in quella di Francesca Inaudi una proposizione sin troppo caricata anche per un personaggio come quello di Lea, agli antipodi per leggerezza ed esuberanza rispetto a quello introverso e malinconico di Lucia. E poi con una certa difficoltà nella chiusura, più volte rimandata con inserti come quella dall'anziana signora a cui Sandra decide di dare lezioni di pianoforte che non aggiunge nulla ma sembra messo apposta dal regista per piazzare qualche frase ad effetto sulle verità dell'esistenza. Ancora sul versante distributivo si registra la penalizzazione di un doppiaggio che per ragioni di opportunità commerciale ci ha privato della versione originale, girata in lingua spagnola. Davvero un peccato ma anche un segno dei nostri tempi.
(pubblicate su ondacinema.it)
Ma queste qualità, a cui si aggiunge la scelta di filmare con una semplicità che certamente si addice alla volontà di riprodurre una quotidianità essenziale e priva di orpelli, sono costrette a fare i conti con una certa prevedibilità nella rappresentazione dell'universo femminile, per molti versi uguale nella suo percorso di guarigione esistenziale a quello di certe produzioni nostrane - "Le acrobate" di Silvio Soldini (1997) potrebbe essere un modello - e che trova nella performance distante ed implosa di Sandra Ceccarelli un prototipo riuscito ma fortemente praticato, ed in quella di Francesca Inaudi una proposizione sin troppo caricata anche per un personaggio come quello di Lea, agli antipodi per leggerezza ed esuberanza rispetto a quello introverso e malinconico di Lucia. E poi con una certa difficoltà nella chiusura, più volte rimandata con inserti come quella dall'anziana signora a cui Sandra decide di dare lezioni di pianoforte che non aggiunge nulla ma sembra messo apposta dal regista per piazzare qualche frase ad effetto sulle verità dell'esistenza. Ancora sul versante distributivo si registra la penalizzazione di un doppiaggio che per ragioni di opportunità commerciale ci ha privato della versione originale, girata in lingua spagnola. Davvero un peccato ma anche un segno dei nostri tempi.
mi attira questo film, mi attira la Patagonia, annegherei volentieri negli occhi della Ceccarelli..ma da me hanno risolto il problema visto che sugli schermi non ce n'è traccia...vedo che non ero il solo a pensare che la Bobulova si chiamasse Barbara e non Barbora...io ho scoperto che si chiama Barbora in Scialla...e te lo dice uno che ha scoperto che Valerio Mastrandrea in realtà si chiama Mastandrea solo leggendo al cinema la locandina di Un giorno perfetto....ottimo pezzo, come sempre del resto!
RispondiEliminaciao Brad, ci pensavo nel pomeriggio..ho sbahgliato anche il nome di Rongione che è Fabrizio e nn Fabio..sono proprio un disastro..devo anche dire che la Patagonia al cinema fa sempre il suo effetto..grazie di tutto..
RispondiEliminamolto interessante questo film, spero di riuscire a vederlo. come sempre è molto fluida e bella la tua prosa, così come lo è il tuo addentrarti cauto ed attento nel merito del film senza perdere mai lo sguardo di meraviglia.
RispondiEliminabuon cinema!
grazie Veri, sei gentile..il film però poteva essere migliore..io ho apprezzato molto di più Tartarughe sul dorso che ho rivisto prima di mettermi a scrivere questa recensione. Il richiamo ha molti punti in comune con il primo film di Pasetto.
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