lunedì 19 marzo 2012

Magnifica presenza

L'avevamo lasciato con quella scena magnifica, in cui in un misto di nostalgia e felicità i personaggi della storia si accomiatavano dal pubblico sulle note musicali di un ballo che, nell'armonia dei suoi gesti, ricomponeva in maniera ideale la frattura tra passato e presente. Un finale, quello di "Mine vaganti"(2011), che sintetizzava felicemente la summa poetica del regista italo-turco e ricuciva lo strappo seguito all'uscita di "Un giorno perfetto" (2008) accolto con ingiustificata acrimonia dagli addetti ai lavori e con scarso interesse da parte del pubblico. Una battuta d'arresto ripagata da un successo inaspettato e foriero di nuove prospettive, anche straniere, per una carriera che si pensava incanalata all'interno dei confini nazionali.

Deve essere stata questa consapevolezza unita alla ritrovata autostima a ispirare "Magnifica presenza", una storia che se da una parte ripropone attraverso la centralità di un personaggio, Pietro (Elio Germano) diviso tra aspirazioni mondane e vicissitudini amorose, la dicotomia esistente tra realtà e rappresentazione, dall'altra sembra tirare le fila di un'evoluzione artistica arrivata all'apice delle sue possibilità, e per questo bisognosa di una riflessione che la prenda in considerazione nella sua totalità. Una lezione di cinema sotto mentite spoglie e anche un compendio cinematografico che sull'esempio di capolavori come "Otto e mezzo", e in minor misura "Stardust memories", fa dialogare due facce della stessa medaglia: l'arte con le sue regole, anche crudeli se pensiamo al monologo egocentrico e spietato di Livia Morosini, diva teatrale scomparsa dalle scene in maniera misteriosa, e la vita, quella personale e privata dell'autore, con cui il film si identifica quando nell'annullare le barriere tra la dimensione metafisica dei fantasmi che occupano la casa dove Pietro si è appena trasferito, e quella terrena vissuta dal loro interlocutore (a un certo punto Pietro e i suoi visitatori si ritroveranno a condividere anche la cena), porta a compimento il desiderio autobiografico di riportare in vita amici e parenti prematuramente scomparsi.
Il film di una raggiunta maturità, si potrebbe definire così "Magnifica Presenza" che, alla pari di "Habemus Papam" di Nanni Moretti, permette a chi lo ha realizzato di rivestire i temi di sempre con una legittimità culturale che in entrambi i casi, ed in maniera diversa, si serve del teatro e dei discorsi che gli appartengono per realizzare questa impresa. Ma il problema in questo caso non sta tanto nel progetto quanto nella realizzazione che non riesce a tenere in piedi in maniera organica la quantità di spunti, personaggi e situazioni poste in essere. Così, seguendo i passi del protagonista che ad un certo punto perde le sue caratteristiche per diventare il traghettatore capace di far compiere al film quegli spostamenti, anche fisici, in grado di soddisfarne l' intento omnicomprensivo, la storia si sfilaccia progressivamente introducendo personaggi come quello delle due bariste svampite e colorate - il verso ad Almodovar presente in altre parti è qui chiaramente manifesto - che fanno il filo a Pietro, del vicino di casa invaghito o forse no del nuovo inquilino, oppure di un travestito che aiuta Pietro a ritrovare Livia, figura attorno alla quale ruota il mistero e anche la felicità dei fantomatici visitatori, destinati a eclissarsi senza lasciare alcuna traccia.
E anche navigando a vista, concentrandosi esclusivamente sul filone principale del film, ovvero il rapporto tra l'aspirante attore (dettaglio risolto con due provini che fanno sorridere per la loro improbabilità) e gli ansiosi spettri, non si può non notare la preponderanza dell'effetto glamour e caricaturale rispetto a quello introspettivo (facendo parte di una compagnia teatrale i nostri si vestono e posano come se fossero ancora sulle scene) abbozzato e insufficiente per giustificare l'utilizzo di un cast la cui importanza (Margherita Buy, Beppe Fiorello, Vittoria Puccini e Andrea Bosca) avrebbe meritato sorte migliore. Il risultato è invece una ronda in cui si fa fatica a entrare e di cui si resta ammirati per maestria di impaginazione, ricchezza di costumi eterogeneità attoriale, ma che fa rimpiangere il coinvolgimento immediato e passionale a cui Ozpetek ci aveva fin qui abituato.
 
(pubblicato su ondacinema.it)

4 commenti:

  1. 1)la presunta teoria di "finzione o realtà?" va a farsi benedire quando l'intervento della medicina fa sparire le "magnifiche presenze" dalla vita del protagonista, decretando ufficialmente che trattasi di visioni e quindi di malattia. 2)Ozpetek conferma la propria visione del mondo abitato quasi esclusivamente da gay, utilizzando l'omosessualità come parco giochi.3)imbarazzante la varietà di omosessuali che fanno passerella in Magnifica presenza...addirittura il fantasma omosessuale!

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  2. ..mi sembra che tu abbia centrato il punto..Ozpetek al di là di questo film sembra vittima, o meglio prigioniero di se stesso..quando ha fatto film in cui l'omossesualità era esclusa, è stato aspramente e secondo me ingiustamente criticato...così sembra che abbia deciso di inserirla ad ogni costo..e senza che c'è ne sia particolare bisogno...sul film mi pare di aver scritto tutto..

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  3. "..non riesce a tenere in piedi in maniera organica la quantità di spunti, personaggi e situazioni poste in essere.." esattamente, condivido questa tua riflessione.
    punto 3 di Fabrizio: cavolo, come dici bene, è imbarazzante, le trans sono delle specie di mostri... :-)

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  4. ..francamente non ho capito il senso della sequenza di cui parla Fabrizio, voglio dire che nell'economia del film ha un peso solo in negativo..

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