mercoledì 11 aprile 2012

Good as You

L'intento era sicuramente quello di scherzare e di divertirsi. Lo si capisce dai fotogrammi dei titoli di testa, con il gioco linguistico che prende in prestito le lettere della parola gay per ottenere il nome del film, "Good As You" appunto. E poi ancora sempre in quel contesto nella scelta di presentarsi con dei disegni animati che nei colori vivaci e nella forte stilizzazione ricordano da vicino quelli delle commedie di Rock Hudson e Doris Day, un riferimento a cui questo prodotto, almeno nella vivacità dei suoi personaggi, non si sottrae. Caratteristiche quella della trasformazione e dell'eccesso visivo che la pellicola mantiene costantemente a regime lavorando contemporaneamente lungo due direzioni: la prima, quella più evidente, si preoccupa di costruire un atmosfera stravagante ed eccezionale attraverso associazioni di colore effettuate per contrasto, oppure nella completa predominanza di una tonalità (l'azzurro ad esempio è quella dominante di molte sequenze) ed ancora nella presenza di una fotografia che a secondo dei casi alterna i chiaroscuri alla luce neutra; la seconda, quella che dovrebbe dare sostanza al film, si organizza per rendere precarie le certezze che la sceneggiatura costruisce attraverso le dichiarazioni di intenti di personaggi, almeno a parole intenzionati a perseguire una certa stabilità affettiva.
Nel far questo il film utilizza una simmetria piuttosto schematica che prevede all'interno delle varie coppie dinamiche relazionali pressoche identiche, con uno dei componenti fedele a quel legame e l'altro alla costante ricerca di alternative che ne soddisfino la voglia di trasgressione. Un apertura narrativa che regala alla storia la possibilità di rinnovarsi attraverso il continuo interfacciarsi che i protagonisti, con il loro stile di vita movimentato ed inquieto, riescono ogni volta a ricreare. Il valzer delle coppie mette in mostra così una sessualità priva di sensi di colpa, sdoganata da retaggi omofobici e libera di esprimersi in tutte le sue sfumature. Un trionfo di fantasia e vitalismo, di gioia e di dolore che prevede una sola condizione, quella di essere gay. Ed è proprio sulla completa esclusione del mondo etero, assente, oppure cancellato quando fa capolino attraverso i dubbi del personaggio interpretato da Daniela Virgilio, bisessuale irrisolta anche nel tentativo di lasciarsi alle spalle un passato lesbo fidanzandosi a sua insaputa con un omosessuale pentito, che il film punta - "la prima gay comedy italiana" è la definizione che campeggia sulla locandina del film - per costruirsi il suo plus valore.
Una peculiarità destinata a rimanere tale solamente sul piano formale, ma sconfessata da una serie di difetti che finiscono per omologare "Good As You" alle produzioni di più facile consumo, quelle in cui lo sviluppo psicologico dei caratteri si avvicina allo zero, dove l'intreccio della storia si snoda in maniera scontata quand'anche poco approfondita, ma soprattutto dove il coinvolgimento dello spettatore è stimolato con battute da avanspettacolo ("Che voi siate maledetti, che i vostri figli abbiano il pisello piccolo" è quella pronunciata da uno dei personaggi per esprimere la propria frustrazione) e siparietti che riducono il mondo gay ad una pantomima così stereotipata e superficiale da annullare anche la componente ludica che invece il film vorrebbe riflettere. Mariano Lamberti regista dal pedigree autoriale - i suoi precedenti lavori da "Non con una bang" del 1998 a "Napoli 24" opera collettiva che vuole documentare il degrado della capitale partenopea ci parlano di un cinema impegnativo ed impegnato - scrive e dirigere in funzione di un'immediatezza che trova i suoi limiti nel continuo fluttuare dei registri - dal melò alla Ozpetek alla commedia sul modello dei cinepanettoni - e dello stile, con la voce fuori campo, invadente nella prima parte e poi di colpo assente, ed i balletti molto kitsch, inseriti qua e là con la logica dell'effetto a breve termine. In questo modo il film privo di un adeguato supporto, e con una recitazione forzatamente sopra le righe, non riesce a lasciare il segno, consegnandosi ad uno sconfortante anonimato.
(pubblicata su ondacinema.it)

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