Forse
è solo un caso ma si verifica con sempre maggiore frequenza che il segno
principale del cinema italiano indipendente sia legato alla
frequentazione di
geografie territoriali non comuni. Fuori o dentro i confini nazionali la
scelta
del paesaggio risulta non solo lontano dalle rotte abitualmente
utilizzate – in
questo senso la grande metropoli è uno dei soggetti che ha subito la
maggiore
contrazione – ma è anche elemento preminente per sviluppare la
psicologia delle
figure che lo attraversano. Come capita appunto nell’ultimo film di
Stefano
Chiantini ambientato nelle Tremiti rese nella loro morfologia aspra ed
essenziale per rappresentare la condizione di tre esseri umani, Enzo un
sacerdote
menomato da recente malattia, Ivan straniero senza permesso di soggiorno
ed
alla ricerca di un lavoro, e Martina una ragazza senza voce e senza
amici,
destinati a condividere le rispettive solitudini. Ed infatti è dalle
strade del
villaggio, strette ed irregolari oppure nei tratti in cui la vista si
libera
faticosamente alle distese marine, per non dire della rarefazione
dell’elemento
umano quasi assente, che riusciamo a tracciare il diagramma emotivo di
uno
stato dell’anima per il resto imprigionata dentro un silenzio ostinato e
doloroso.
Oltre a questo la chiara indicazione di una contemporaneità in crisi che
il
film esplicita attraverso le menomazioni fisiche di cui sono portatori i
protagonisti, tutti per diversi motivi costretti a sopportare nel corpo
le
conseguenze di una sofferenza psicologica. Un pessimismo cupo e
disperato che
Chiantini ci trasmette ribaltando l’immagine di alterità solitamente
connessa
al territorio insulare e qui utilizzata come metafora di una prigione
esistenziale in cui
intolleranza ed incomprensione diventano il metro delle cose e degli
uomini, la
fonte principale di una solitudine senza scampo. Il regista in questo
senso non
fa sconti anche quando si tratta di parlare d’amore attraverso l’intesa
tra Ivan e Martina, la cui nascente relazione viene prima osteggiata e
poi impedita
anche da chi avrebbe gli strumenti per capirne la giustezza.
Lontano dal cinema d’impegno civile così come da quello di puro intrattenimento “Isole” si colloca nella terra di mezzo dove trovano asilo le opere che non possono contare su un sostegno divistico e/o distributivo. Apprezzabile per la maniera con cui riesce a far fruttare le poche risorse disponibili, il film di Chiantini rimane però vittima di se stesso quando nel tentativo di presentare come nuove situazioni e personaggi ampiamente risaputi si produce in una rarefazione di parole e spiegazioni che le immagini da sole non riescono a compensare. Ne deriva un impoverimento di significati che lascia insoddisfatti e che delega al non detto, e di questa tendenza risulta esemplare l’ultima sequenza che alla maniera di “Lost in Traslation” (2003) si conclude con il mistero della frase pronunciata da Ivan all’orecchio di Martina, la parte più importante del film, quella che dovrebbe dare sostanza ad una storia che invece rimane sospesa in una neutralità senza sfogo. Interpretato da un gruppo d’attori perfettamente calati nella parte “Isole” permette ad Asia Argento di recitare lontano dai suoi rumorosi clichè ed a favore di un personaggio(Martina)che rinunciando a parlare si esprime con il linguaggio del corpo e dello sguardo. Una prova un pò monocorde ma incoraggiante, soprattutto se inquadrata in prospettiva di un rinnovamento delle sue prerogative attoriali. Presentato all’ultimo TFF “Isole” è uscito nelle sale italiane con diffusione limitata, e sulla rete dove è possibile vederlo gratuitamente.
(pubblicata su ondacinema.it) Lontano dal cinema d’impegno civile così come da quello di puro intrattenimento “Isole” si colloca nella terra di mezzo dove trovano asilo le opere che non possono contare su un sostegno divistico e/o distributivo. Apprezzabile per la maniera con cui riesce a far fruttare le poche risorse disponibili, il film di Chiantini rimane però vittima di se stesso quando nel tentativo di presentare come nuove situazioni e personaggi ampiamente risaputi si produce in una rarefazione di parole e spiegazioni che le immagini da sole non riescono a compensare. Ne deriva un impoverimento di significati che lascia insoddisfatti e che delega al non detto, e di questa tendenza risulta esemplare l’ultima sequenza che alla maniera di “Lost in Traslation” (2003) si conclude con il mistero della frase pronunciata da Ivan all’orecchio di Martina, la parte più importante del film, quella che dovrebbe dare sostanza ad una storia che invece rimane sospesa in una neutralità senza sfogo. Interpretato da un gruppo d’attori perfettamente calati nella parte “Isole” permette ad Asia Argento di recitare lontano dai suoi rumorosi clichè ed a favore di un personaggio(Martina)che rinunciando a parlare si esprime con il linguaggio del corpo e dello sguardo. Una prova un pò monocorde ma incoraggiante, soprattutto se inquadrata in prospettiva di un rinnovamento delle sue prerogative attoriali. Presentato all’ultimo TFF “Isole” è uscito nelle sale italiane con diffusione limitata, e sulla rete dove è possibile vederlo gratuitamente.
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