domenica 15 aprile 2012

Ciliegine

La decisione di passare dietro la macchina da presa per un attore anagraficamente maturo è quasi sempre il frutto di due necessità: la prima assomiglia ad un riflesso spontaneo, alla naturale conseguenza di una quotidianità educata per forza di cose all'osservazione dei gesti e delle cose; la seconda invece è una specie di salto nel vuoto, un modo per rimescolare le carte alla ricerca di nuove emozioni. Per queste ragioni quello di Laura Morante, attrice nobile del cinema italiano è un debutto che non ci ha stupito. Un caso non isolato se si pensa alla prima volta di Stefania Sandrelli avvenuta non più tardi di un anno fa ed a quella già annunciata di Valeria Golino, ma reso particolare dalla scelta della neo regista di girare in Francia, a Parigi per l'appunto, e con attori di quel paese. Una decisione legata a motivi personali certamente - l'attrice è stata legata sentimentalmente ad uno dei produttori - ma anche ad un'attenzione nei suoi confronti che i film di Moretti hanno certamente contribuito a costruire.

Dalla capitale francese il film della Morante prende in prestito oltre agli scorci di un paesaggio urbano iconograficamente perfetto per ospitare la materia amorosa che presiede la storia, anche la capacità di mantenersi elegante e disinvolto indipendentemente dalle sua qualità, che in questo caso risulta condizionata in negativo dalla volontà della debuttante di non rischiare nulla sia in termini di interpretazione che di regia. Così a cominciare da Amanda, il personaggio principale, che la Morante decide di ritagliarsi ad immagine e somiglianza di quelli da lei interpretati nel corso di una carriera, che salvo rari eccezioni l'hanno vista alle prese con una femminilità complicata da un ego in perenne contrapposizione, e quasi sempre riversato sullo schermo con un inesauribile campionario di tic e di nevrosi, il film replica un modello di commedia romantica che sembra la copia di quella Alleniana, ripresa nella supremazia dei dialoghi, nella proposizione di luoghi e situazioni - con i personaggi impegnati in interminabili discussioni ed inconsapevolmente chiamati a riprodurre una mappa geografica ed ideale fatta di camminate lungo le vie della città e dei parchi, di attese davanti al cinema o di incontri nei bistrot - nel contrappunto musicale allegramente retrò, nella psicanalisi richiamata nell'essenza stessa del personaggio di Amanda, spinta nel suo comportamento compulsivo - la continua richiesta di attenzioni puntualmente disattese dai suoi partner - da una patologia che la storia stessa definisce con il termine scientifico di androfobia per cercare di definirne la paura atavica nei confronti degli uomini.

Un peccato di "gioventù" diremo noi a cui però si aggiungono quelli di una sceneggiatura basata su un incipit troppo debole, in cui la presunta omosessualità di Antoine, l'uomo di cui Amanda si innamora, non ha un riscontro oggettivo ma viene desunta dalla gentilezza di comportamenti che in realtà sono la base della civile convivenza, e di conseguenza nell'incapacità di tradurre quell'equivoco, Antoine è ovviamente etero ed innamorato della donna, con le sorprese, i colpi di scena ed il divertimento che normalmente ci si aspetterebbe da un simile intreccio. In questo modo il film scivola via senza colpi di coda, sprecando una talento come quello di Isabelle Carrè, qui nel ruolo di Florence, l'amica del cuore, con una presenza che non acquista mai spessore ma serve più che altro a fare il punto della storia, sottolineandone i passaggi più importanti con commenti e propositi che scaturiscono dalle domande che la donna rivolge al marito psicologo, incaricato per interposta persona di aiutare Amanda a districarsi dalle trappole mentali e affettive che lei stessa si costruisce. Eppure nonostante queste mancanze "Ciliegine" riesce ad essere per discrezione ed eleganza un prodotto anomalo nel panorama del nostro cinema, ed e forse questa diversità, che concorre a farlo sembrare meglio di quello che effettivamente è.
(pubblicata su ondacinema.it)

5 commenti:

  1. ciao, complimenti per la rece, mi è molto piaciuta! anche io ho colto i tanti riferimenti ad allen ed è vero che la morante ha confezionato un prodotto elegante, ma è anche vero, come ben sottolinei, che la storia non regge benissimo e comunque a mio avviso non propone sguardi nuovi. resta per me un film dimenticabile: lo vedi, scorre, e poi via.

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  2. ..ti parra strano ma in qualche modo questa operazione mi ha ricordato quella di Sorrentino per "There must be the place"..entrambi i registi riescono a replicare lo standard formale del cinema del paese in cui hanno girato..voglio dire il regista campano e così anche la Morante ci restituiscono un immaginario visivo uguale a quello dei loro colleghi americani e francesi..questo è evidente soprattutto per Sorrentino che a tratti sembra rubare il paesaggio a decine e decine di film provenienti d'oltreoceano..a venir meno è la sostanza perchè i nostri non riescono ad interpretare l'immaginario che mettono sullo schermo, a farlo proprio...

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  3. non ci avevo pensato e convengo con te, entrambi perdono su entrambi i versanti (lettura della realtà nello stile del paese ospitante da una parte e tentativo di farla propria dall'altra).
    nel caso della morante, per quanto legata affettivamente e culturalmente alla francia, non riesce ad afferrare la leggerezza e la profondità del cinema francese; il suo rimane un cinema piuttosto lento e viscoso, e da italiana perde una occasione per dare una personale lettura degli eventi; mi sono infatti chiesta: perchè una italiana sente la necessità di parlare di amore e di difficoltà di coppia in una terra di adozione in cui non dimostra di padroneggiare le modalità di espressione? è una sfida difficile, la sua... il film manca di uno stile proprio perchè esso è una serie continua di rimandi e citazioni ad altri film, una sequenza di tentativi di aggrapparsi a modalità registiche che ama e che vorrebbe permeare.
    con questo film la morante non regala nulla di nuovo, cioè non offre allo spetattore qualcosa su cui lavorare emotivamente, sul quale poter elaborare qualcosa, resta una esperienza sterile fine a se stessa. vabbè, ci sono andata pesante ;-)
    su sorrentino sappiamo come la penso, il suo film è un tecnicismo avulso da qualunque utilità e di fragile forza, uno sfoggio di capacità che accontenta tanto i boxoffice lasciando a becco asciutto gli appassionati.
    per qui la morante porta avanti una esigenza, una urgenza ed è questo che mi lascia ben sperare per la prossima prova, poteva fare di meglio, forse ha solo sbagliato il tiro.

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  4. speriamo di si, a me la Morante piace anche se mi sembra che lei scelga sempre lo stesso ruolo..

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