giovedì 21 giugno 2012

Paura in 3D


Ormai si può dire senza tema di smentite: la contrazione è il segno che meglio caratterizza il cinema dei fratelli Manetti. Il termine non riguarda solamente la questione spaziale diventata anche per questioni economiche un marchio di fabbrica della loro cinematografia con storie sviluppate quasi esclusivamente all'interno di un unico ambiente, "Piano 17"(2005) potrebbe esserne l'esempio più calzante, ma è estendibile in ugual modo sia sul piano dei temi trattati che di quello riguardante lo sviluppo dei caratteri. Senza andare troppo indietro nel tempo e facendo riferimento alla penultima uscita di questo sodalizio registico, parliamo de "L'arrivo di Wang"(2011) che ha fornito alla nuova produzione attori (Francesca Cuttica) e location (la prigione dove si svolge la maggior parte del film ma anche gli interni della villa) sono molte le cose prese in prestito da "Paura", il film che segna il ritorno ad un genere come l'horror che i due avevano già toccato seppur in chiave comedy con "Zora la vampira"(2000). Così quando dopo una breve introduzione che riporta la capitale e le sue vedute alla ribalta di un genere dal quale si era un pò distaccata - allo stesso modo "Wang" aveva riproposto la fantascienza nella città del cupolone - il film viene risucchiato nello scantinato di una villa che assomiglia ad un labirinto medievale dove tre giovani scoprono la presenza di una ragazza, Sabrina, prigioniera di un sadico aristocratico che la tortura con scientifica metodicità. Basterebbe l'incipit della storia, con la stanza degli orrori al posto di quella dove l'alieno veniva interrogato per individuare una continuità destinata a crescere quando nel tentativo di liberare l'ostaggio i protagonisti diventano a loro volta prigionieri del diabolico maniaco.

I fratelli Manetti ci mettono ancora una volta di fronte ad una realtà incomprensibile e violenta dalla quale si può solo fuggire, ma rispetto all'uscita precedente in cui la vicenda dell'extraterrestre era anche un occasione per rappresentare la condizione dell'uomo moderno incastrato in un esistenza di certezze fittizie e manipolate, qui i margini di una possibile speculazione si assottigliano ulteriormente a favore di un'attenzione quasi spasmodica per il ritmo ed il tasso adrenalinico. In questo modo anche i personaggi diventano puramente funzionali rappresentando nell'economia del film vettori di particolari che tornano utili per far tornare i conti quando l'intreccio rischierebbe di bloccarsi. Così la delusione amorosa di Simone che nelle prime sequenze viene scaricato dalla morosa, il lavoro di Ale che fa il meccanico nell'officina dove il cattivo porta a riparare l'automobile, la passione artistica di Marco che cerca di sfondare nel campo della musica non sono il tentativo di creare un mondo con dei personaggi plausibili ma l'espediente per far funzionare il meccanismo attraverso passaggi giustificati da quelle premesse. Il riscatto di Simone che si adopera fino allo sfinimento per salvare la ragazza, l'abilità di Ale nel mettere in moto la macchina che li deve far fuggire pur non avendone le chiave, ed infine la presenza delle chitarre utilizzate dai ragazzi per vivacizzare lo sballo che segue l'introduzione furtiva dentro l'abitazione diventano allora automatismi perfetti per un prodotto che non deve far pensare. Considerato che il film non fornisce alcuna spiegazione sulle ragioni che hanno scatenato quell'inferno così come rimane ambiguo sulla relazione che intercorre tra la vittima ed il suo carnefice anche quando verso la fine del film ci potrebbe essere lo spazio per una clamoroso ribaltamento,"Paura" diventa più che altro un esercizio di abilità tecnica e di stile che dimostra una volta di più la capacità dei registi di ottimizzare le (poche) risorse, di sapersi destreggiare con i codici di genere (la presenza di Stivaletti agli affetti speciali non può non rimandare ad un nume tutelare come Dario Argento) e di essere pronti per un salto di qualità produttivo che potrebbe riservare delle gradite sorprese. Detto della Francesca Cuttica, ormai attrice feticcio dei Manetti, a risultare particolarmente efficace è la performance di Peppe Servillo che nei panni del cattivissimo marchese Lenzi utilizza le sue spigolosità per disegnare una specie di Nosferatu destinato a rimanere nella galleria dei mostri dell'Horror all'italiana. Sull'utilità del formato 3D stendiamo invece un pietoso velo.
(pubblicato su ondacinema.it)

Nessun commento:

Posta un commento