Ormai si può dire senza tema di smentite: la contrazione è il segno che
meglio caratterizza il cinema dei fratelli Manetti. Il termine non
riguarda solamente la questione spaziale diventata anche per questioni
economiche un marchio di fabbrica della loro cinematografia con storie
sviluppate quasi esclusivamente all'interno di un unico ambiente, "Piano
17"(2005) potrebbe esserne l'esempio più calzante, ma è estendibile in
ugual modo sia sul piano dei temi trattati che di quello riguardante lo
sviluppo dei caratteri. Senza andare troppo indietro nel tempo e facendo
riferimento alla penultima uscita di questo sodalizio registico,
parliamo de "L'arrivo di Wang"(2011) che ha fornito alla nuova
produzione attori (Francesca Cuttica) e location (la prigione dove si
svolge la maggior parte del film ma anche gli interni della villa) sono
molte le cose prese in prestito da "Paura", il film che segna il ritorno
ad un genere come l'horror che i due avevano già toccato seppur in
chiave comedy con "Zora la vampira"(2000). Così quando dopo una breve
introduzione che riporta la capitale e le sue vedute alla ribalta di un
genere dal quale si era un pò distaccata - allo stesso modo "Wang" aveva
riproposto la fantascienza nella città del cupolone - il film viene
risucchiato nello scantinato di una villa che assomiglia ad un labirinto
medievale dove tre giovani scoprono la presenza di una ragazza,
Sabrina, prigioniera di un sadico aristocratico che la tortura con
scientifica metodicità. Basterebbe l'incipit della storia, con la stanza
degli orrori al posto di quella dove l'alieno veniva interrogato per
individuare una continuità destinata a crescere quando nel tentativo di
liberare l'ostaggio i protagonisti diventano a loro volta prigionieri
del diabolico maniaco.
I fratelli Manetti ci mettono ancora una
volta di fronte ad una realtà incomprensibile e violenta dalla quale si
può solo fuggire, ma rispetto all'uscita precedente in cui la vicenda
dell'extraterrestre era anche un occasione per rappresentare la
condizione dell'uomo moderno incastrato in un esistenza di certezze
fittizie e manipolate, qui i margini di una possibile speculazione si
assottigliano ulteriormente a favore di un'attenzione quasi spasmodica
per il ritmo ed il tasso adrenalinico. In questo modo anche i personaggi
diventano puramente funzionali rappresentando nell'economia del film
vettori di particolari che tornano utili per far tornare i conti quando
l'intreccio rischierebbe di bloccarsi. Così la delusione amorosa di
Simone che nelle prime sequenze viene scaricato dalla morosa, il lavoro
di Ale che fa il meccanico nell'officina dove il cattivo porta a
riparare l'automobile, la passione artistica di Marco che cerca di
sfondare nel campo della musica non sono il tentativo di creare un mondo
con dei personaggi plausibili ma l'espediente per far funzionare il
meccanismo attraverso passaggi giustificati da quelle premesse. Il
riscatto di Simone che si adopera fino allo sfinimento per salvare la
ragazza, l'abilità di Ale nel mettere in moto la macchina che li deve
far fuggire pur non avendone le chiave, ed infine la presenza delle
chitarre utilizzate dai ragazzi per vivacizzare lo sballo che segue
l'introduzione furtiva dentro l'abitazione diventano allora automatismi
perfetti per un prodotto che non deve far pensare. Considerato che il
film non fornisce alcuna spiegazione sulle ragioni che hanno scatenato
quell'inferno così come rimane ambiguo sulla relazione che intercorre
tra la vittima ed il suo carnefice anche quando verso la fine del film
ci potrebbe essere lo spazio per una clamoroso ribaltamento,"Paura"
diventa più che altro un esercizio di abilità tecnica e di stile che
dimostra una volta di più la capacità dei registi di ottimizzare le
(poche) risorse, di sapersi destreggiare con i codici di genere (la
presenza di Stivaletti agli affetti speciali non può non rimandare ad un
nume tutelare come Dario Argento) e di essere pronti per un salto di
qualità produttivo che potrebbe riservare delle gradite sorprese. Detto
della Francesca Cuttica, ormai attrice feticcio dei Manetti, a risultare
particolarmente efficace è la performance di Peppe Servillo che nei
panni del cattivissimo marchese Lenzi utilizza le sue spigolosità per
disegnare una specie di Nosferatu destinato a rimanere nella galleria
dei mostri dell'Horror all'italiana. Sull'utilità del formato 3D
stendiamo invece un pietoso velo.
(pubblicato su ondacinema.it)
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