
Ci sono diversi modi di fare cinema ma tutti hanno in sè il bisogno di
comunicare qualcosa, non necessariamente una storia. A volte l'obiettivo
è quello di raccontare una vicenda attraverso le persone, in altri casi
invece è quello di parlare di una persona. Ancora immersi nei suoni e
nell'ambiente della campagna friulana ed in particolare del fiume
Tagliamento dove buona parte di quello che abbiamo visto ha preso forma e
poi si è sviluppato, non possiamo fare a meno di pensare che "L'estate
di Giacomo" nasca dalla voglia di mettere al centro dello schermo un
esistenza filmata dal vivo, senza trucchi, con la pazienza di non gli
eventi, lasciando che le piccole cose, quelle che abbiamo smesso di
guardare o di cui si è perso memoria, riprendano ad alimentare il fuoco
delle nostre emozioni. Ed è proprio la componente emozionale derivata
dai sentimenti di amicizia e poi d'amore che Giacomo instaura con due
coetanee ad accompagnare e tenere insieme la libertà del flusso visivo
di cui il film si compone. Schermaglie, ritrosie e piccoli dispetti si
alternano a momenti di tregua, riempiti dall'evidenza di un paesaggio
naturale che sembra sublimare con la sua quiete calda e riposante il
montare di una scoperta, quella di Giacomo nei confronti del mondo ed in
particolare dell'universo femminile, spaventosa edinsieme sublime.

Girato
in pellicola ed in digitale con la leggerezza e la spontaneità
compositiva già appartenuta ai giovani turchi della nouvelle vague
francese, "L'estate di Giacomo" nonostante la sua natura indipendente,
soprattutto dal punto di vista produttivo, è tutt'altro che un film
improvvisato. Se infatti il pedinamento e l'osservazione quasi
antropologica di protagonisti rubati alla vita reale - ad interpretare
se stessi e la propria esistenza sono in questo caso amici e familiari
del regista - potrebbe far pensare ad una stanca riproduzione di stampo
neorealistica, con tutto le conseguenze in termini di mancata fantasia e
varietà, in questo caso il pericolo viene meno per mano dell'autore che
facendo entrare in gioco l'elemento naturale, non solo il paesaggio ma
anche la luce ed i suoi rumori, con quello specificatamente tecnico,
soprattutto nelle sequenze associate mediante un montaggio rispondente
più ad un bisogno di coerenza emozionale che di linearità narrativa,
riesce a ricreare un microcosmo poetico e fuori dal tempo, nel quale lo
spettatore si sente parte in causa, disturbato quando Giacomo aderisce
alla vita con rabbia, come succede all'inizio del film con la batteria
malmenata fragorosamente dal ragazzo ripreso di spalle, rivitalizzato
laddove la sua innocente ingenuità rompe le convenzioni di una gioventù
che il cinema italiano ama più mettere in posa che capire. Certo molto
di quello che rimane fuori dall'opera - il girato poi scartato in sede
finale prevedeva una fase ospedaliera conseguente all'operazione a cui
Giacomo si era sottoposto per riacquistare parte dell'udito alternata
alla sezione estiva - così come alcuni passaggi del film poco spiegati
lasciano un sensazione di incompletezza, di un risultato più simile ad
una dichiarazione d'intenti che ad un'opera compiuta. Questo però non
diminuisce la purezza dello sguardo e la perfetta commistione tra cinema
e documentario che avvicinano "L'estate di Giacomo" ai capolavori di
Frammartino e Marcello. In prospettiva quello di Alessandro Comodin è un
esordio che lascia ben sperare.
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pubblicata su ondacinema.it)